Il silenzio surreale del borgo fantasma più incredibile della Calabria

Il silenzio surreale del borgo fantasma più incredibile della Calabria

Dal 1971 c'è un paese dove le persone sono scomparse, non per scelta volontaria. Dietro le spalle hanno lasciato un luogo abbandonato sì, ma i cui silenzi raccontano storie dal triste romanticismo e che profumano di famiglia
Stefano Maria Meconi  | 25 Set 2025  | Tempo di lettura: 4 minuti

Cosa si cela dietro a una città fantasma? Secoli di storia che si sgretolano con il passare del tempo, un passato che sembra quasi cedere alla forza travolgente della contemporaneità, il senso delle cose che pian piano si lascia portare giù dalla gravità. Di ghost town il mondo ne è pieno: il termine è nato per definire quei luoghi del selvaggio West americano dove sorgevano miniere o scavi auriferi, abbandonati dopo pochi anni e dunque incapaci di mantenersi attivi e vitali. Se però trasliamo questa realtà nel nostro paese, scopriamo che le città abbandonate in Italia non sono insediamenti temporanei, luoghi di fortuna, ma spesso anche comunità millenarie che si sono arrese allo spopolamento progressivo delle aree rurali, che hanno dovuto fare i conti con terremoti, frane e smottamenti o dove carestie, pandemie e disastri hanno dato il colpo di grazia a equilibri probabilmente già difficili. Un po’ come accaduto nel cuore dell’Aspromonte, in Calabria, dove il silenzio surreale parla attraverso le case e i resti di quello che fu un popolo piccolo ma operoso, cacciato dalla propria terra proprio dall’azione della natura.

Quando la natura vince sull’uomo

Una bellezza che sembra somigliare alle altre, ma dove in realtà ci sono molti elementi caratterizzanti che ne fanno un luogo imperdibile, difficile da scoprire e anche impegnativo nel quale arrivare. E forse, proprio questo, con un fascino che lo distingue dagli altri. Almeno a livello architettonico, però, è il borgo fantasma tipo: girando nei vicoli, entrando (facendo molta attenzione) all’interno delle abitazioni, ci si può rendere conto di come tutto sia stato abbandonato in fretta e furia, facendo sì che il tempo si cristallizzasse a quel momento del 1971. Era il 16 febbraio e dopo due giorni di piogge incessanti, dove cadde la quantità di acqua che normalmente cade in una settimana, il Sindaco si trovò costretto a firmare un’ordinanza che imponeva lo sgombero di tutte le famiglie del paese. Solo qualche irriducibile decise di ignorarla ma due anni dopo, nel 1973, la furia della natura si presentò ancora più violenta, decretando la fine del rapporto fra l’uomo e questo nugolo di case che dominava l’Aspromonte e la Calabria dall’alto delle sue rocce. Da allora, le case riposano silenti sul costone che, faticosamente, avevano occupato per diversi secoli, già dalla prima metà dell’XI secolo.

Un luogo da visitare tra echi di silenzio

Esplorate i suoi vicoli; chiudete gli occhi e godetevi l’assoluto silenzio del luogo, interrotto solo dai suoni generati dal vento che si intrufola fra le abitazioni, unico abitante rimasto di Roghudi Vecchio, questo luogo dimenticato dall’uomo. Entrando nelle case troverete ancora indumenti appesi e scarpe che attendono invano qualcuno che le indossi per uscire. Tutto lascia intendere che la fuga fu precipitosa: la paura doveva certo essere tanta, spingendo gli abitanti (prima dello sgombero se ne contavano circa 1650) a lasciare tutto quel poco che possedevano per aver certamente salva la vita. Vita che, da queste parti, era particolarmente complessa: infatti, si narra che un tempo gli abitanti usassero appuntare dei grossi chiodi alle pareti esterne delle case e qui legassero i bambini con una corda fissata alla caviglia; questa pratica, che lascia sgomenti, era a quel tempo necessaria per ridurre gli incidenti mortali occorsi ai più piccoli della comunità, spesso vittime dei numerosi dirupi che circondavano il paese. Qualcuno è pronto a giurare che nelle notti senza luna, trovandosi a passare da Roghudi Vecchio, ha potuto distintamente sentire le urla strazianti dei bambini inghiottiti dal vuoto.

40 chilometri che distanziano il vecchio dal nuovo

Dopo l’abbandono, gli abitanti di Roghudi Vecchio abbandonarono il loro territorio, che si espande a macchia d’olio dalle vette dell’Aspromonte, e si stabilirono nei presi di Melito di Porto Salvo. Qui venne concessa una piccola porzione di territorio nel quale nacque la comunità di Roghudi “Nuovo”, che è a tutti gli effetti un’enclave e dista 40 chilometri dalla località “madre”. Al territorio del comune di Roghudi, quindi, afferisce sia la parte storica e abbandonata, sia la parte nuova, che si trova a meno di un chilometro dalla spiaggia di Rumbolo, quella dove sbarcarono i Mille al soldo di Giuseppe Garibaldi.

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Percorso

Pochi chilometri ma di qualità. Il borgo fantasma di Roghudi Vecchio, infatti, merita una approfondita esplorazione; quindi, il tragitto non sarà lunghissimo ma vi prometto che sarà entusiasmante. Partenza sempre dal portone principale sud della Calabria, Villa San Giovanni. Per il primo tratto di strada vi godrete uno dei litorali più affascinanti del nostro paese, a cavallo fra due mari, il Tirreno e lo Jonio. Questo grazie alla SS 18 Tirrena inferiore che, da Reggio Calabria in avanti, diventa la SS 106 Jonica. Non fatevi distrarre da tutto quel blu perché a Melito di Porto Salvo dovrete mettere la prua verso nord e iniziare la scalata dell’Aspromonte. Qui le curve si fanno sempre più serrate e il sorriso appare, come per magia, sul volto di tutti i biker. Come in un crescendo rossiniano, le variazioni destra-sinistra si fanno sempre più ravvicinate fino alla meta, che si palesa come un soldato in attesa, immobile sul proprio posto di combattimento.

Stefano Maria Meconi
Stefano Maria Meconi

Giornalista, appassionato di viaggi e tecnologia, ho iniziato a occuparmi di TrueRiders sin dalla sua fondazione nel 2015. Mi piace raccontare il modo attraverso numeri e curiosità, perché ogni viaggio è un'esperienza da raccontare e condividere

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