Domenica 16 agosto, comunque. La moto è pronta in parcheggio, coperto stavolta (le previsioni non sono ottimali, il parcheggio è largo, vicino, custodito, sbarrato e chi più ne ha più ne metta ma scoperto, ma con un po’ di moine al titolare riesco a trovare riparo – preventivo – in una specie di garage per le auto dei dipendenti).
Ha piovuto nella notte, sella e bagagli (il grosso rimontato poco prima) sono extradry. Continua la fortuna meteo: mezz’Italia è funestata da acqua in quantità, nell’altra mezza scorrazziamo senza (troppi) fastidi. Uniche tracce, strada bagnata (che nel mio immaginario è parificata al ghiaino in terra ed alle mine anticarro come sicurezza di guida) ed umidità Thai-style (mi fermo più volte dopo pochissimi chilometri dalla partenza, la bomboletta di antiappannante che ho preso prima di partire (“è più piccolina di quella che uso di solito, meno ingombro, porto questa”, dico convinto delle mie parole) non lavora bene per niente e gli occhialoni danno visibilità zero (senza non riesco, a causa delle lenti a contatto).
In ritardo scorriamo lungo l’Aurelia (mi viene in mente in loop il clacson gassmaniano de Il Sorpasso) direzione sud, un breve tratto fino a Pietrasanta poi si prende per la Lucchesia (Versilia e Pisa, già viste… e non me ne vogliano gli autoctoni del sito, non che m’abbiano fatto chissà cosa, quanto ad impressione. Guardo e passo). A Lucca gironzolo litigando con i cartelli, controllo il TomTom (…accosto, due signori… “buongiorno, scusate, una domanda!” “Oh, noi ‘un s’è fatto nulla!”, e ridono).
Mi spiace un po’ saltare Borgo a Mozzano (quel ponte mi piace, poche storie), ma uscirei un po’ troppo dal seminato, e col tempo instabile vorrei avvicinarmi non eccessivamente lento pede. Capannori, Montecatini; tengo a bada sempre la pallostrada, a distanza di sicurezza. Il cielo è coperto ma si sta bene, niente pioggia; nei dintorni di Prato mi fermo ad un bar triste per fermarmi in bagno, al bancone un tizio mi fa senza guardarmi “pur’io ce l’ho la moto che corre”. Non c’è sfida né tantomeno ironia nella sparata, ed è quella la cosa strana; il silenzio ritorna a richiudere quella situazione sergiocittiana.
Ed è comunque un tratto con memorie cinematografico-televisive: mentre m’avvicino a Firenze per vie più che secondarie cerco nella segnaletica stradale riferimenti casuali a quell’Ovest di Paperino del buon Nuti, ovviamente senza esito positivo.
Avessi più sole taglierei per Bibbiena direzione Adriatico, infilandoci un po’ di curve veraci, ma il tempo meteo e dell’orologio (che dal dieci mattina ricordo, non indosso) non me lo consigliano; con l’entusiasmo di un paziente in sala d’aspetto del dentista prendo l’A1 che abbandono nei pressi di Arezzo (pure troppo ho resistito). L’intenzione era raggiungere Bettolle ma chissà perché chissà come, mi perdo sbucando in quel di Cortona. Poco male, Trasimeno, Perugia (a Perugia ritorna il traffico dopo una tirata praticamente in completa solitudine), Valfabbrica (curve!), la statale 76.
Mi fermo a pochi chilometri da casa per trovare… una Persona, ultima tirata. Comincia a piovere, 5 chilometri d’acqua fino all’arrivo; tutti e due guardiamo il DOPPIO arcobaleno di fronte come due idioti, e non ce ne importa niente di spacchettare gli antipioggia. Jesi. Siamo a casa, una settimana.
Ma non erano due, le settimane? Si, ma mica è finita. Per quanto organizzato in quattro e quattr’otto e con una buona dose di pazzia come filo rosso, il Giringiro prevedeva una sorta di andamento circolare (eh, si, vabbè…) per ritoccare più o meno a metà tornata il campo base. Obiettivo ora è esperire al meglio ed al massimo la seconda settimana, ho il giro “apparenti” in programma.
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