Il mio breve viaggio di tre giorni è partito il 30 giugno da Parma, città nella quale vivo ma che offre ben poche strade degne di nota da percorrere in moto, specialmente salendo verso nord. Per questo inizierò il mio diario di viaggio dalla prima tappa che ho fatto per sgranchirmi le gambe dopo i primi 300 km di autostrade (gli unici di tutto il viaggio) e statali piuttosto noiosi: Alleghe.
Prima di iniziare il racconto, premetto che io viaggio sempre e soltanto da solo, trovo che la presenza di altri motociclisti con altri ritmi di viaggio, altre esigenze psicofisiche e altre idee sul come interpretare un viaggio in moto sia limitante al senso di immensa libertà che la nostra amata due ruote può regalarci.
Tutto ciò premesso, inizio consigliandovi una ricca colazione lungo le rive del lago, l’arietta delle prime ore di una mattina estiva è una vera goduria.
Con lo stomaco in pace col mondo dopo essersi riempito di un croissant alla Nutella, mi rimetto in sella in direzione della prima vera tappa del viaggio: il Passo Giau.
Dopo una ventina di km di curve morbide lungo la SP638 arrivo in vista dello chalet di legno dove una mandria perpetua di bikers, spogliati delle loro armature, pascolano godendosi il tepore del sole in faccia.
Il viaggio prosegue sulla SP638 verso Cortina che raggiungo dopo un’altra ventina di km. Un giretto a piedi, un caffè in uno dei tanti bistrot del centro e mi rimetto in sella verso il secondo passo in programma per la giornata.
In meno di mezz’ora di SR48 raggiungo il Passo Falzarego.
Foto di rito al cartello e al panorama non troppo spettacolare per i canoni della zona e scendo tramite le SP24 e la SP37 verso La Villa, meta della prima delle due notti di viaggio che raggiungo dopo 390 km dalla mia partenza da Parma (181 da Bassano del Grappa).
La scelta di pernottare a La Villa non è stata ovviamente casuale, questo carinissimo paesello di montagna è un’ottima base di partenza per un grande classico del motociclismo dolomitico con il quale inizio il mio secondo giorno di viaggio: il mitico “Sellaronda”.
Tenendo un ritmo turistico con le immancabili pause fotografiche e di ristoro, percorro i quattro passi in quest’ordine: Passo di Campolongo (SS244), Passo Pordoi (SR 48), Passo Sella (SS242) e Passo Gardena (SS243).
Senza scendere troppo nei particolari, direi che la mia salita preferita è stata quella verso il Passo Pordoi ma considerando che tutto il percorso dei quattro passi si può affrontare anche in una sola ora, è inutile fare classifiche, è obbligatorio farli tutti…
Dopo un veloce spuntino al Passo Gardena ritorno verso valle in direzione Ortisei, faccio una deviazione verso il Passo di Monte Giovo (SS242/243)
e scendo di nuovo verso Merano dove mi fermo una mezz’ora per un caffè in centro.
Riprendo la strada in direzione ovest verso la Val Venosta (SS38/SS40) dove mi accoglie una mezza bufera con pioggia e raffiche di vento che soffia a una discreta quantità di km orari.
Lo sforzo sostenuto negli ultimi faticosi km viene presto ripagato dalla vista della mia tappa per la seconda notte, il bellissimo lago di Resia con relativo, spettacolare, campanile sommerso.
Dopo una notte in un hotel che non raccomanderei a nessuno se non per il fatto che era dotato di garage per la moto, riparto verso gli ultimi due passi del mio tour alpino/dolomitico.
Inutile dire che se il Sellaronda è un grande classico, il passo dello Stelvio è forse “Il Classico” del motociclismo, con i suoi quasi 90 tornanti fra i due versanti e i suoi 2.757 metri di altitudine è, come tutti saprete, il passo asfaltato più alto d’Italia ed è decisamente una di quelle strade che un motociclista deve fare almeno una volta nella vita.
Dopo la sosta obbligatoria in vetta riparto verso sud e percorsi una cinquantina di km di una strada assolutamente meravigliosa, forse la mia preferita in assoluto di questa tre giorni, raggiungo l’ultima tappa del mio viaggio: il Passo di Gavia.
Il panorama mozzafiato mi obbliga a fermarmi più del mio solito (quando vado in moto non riesco a fermarmi per più di un quarto d’ora, è più forte di me…) e dopo essermi rifatto gli occhi, imbocco la discesa altrettanto spettacolare rispetto alla salita, ma con tratti di strada piuttosto stretta, con un asfalto tutt’altro che perfetto e costeggiata da altissimi dirupi che aggiungono un po’ di “pepe” all’itinerario. Niente di spaventoso, basta percorrerla con “sale in zucca…”.
Da qui in poi, un passaggio a Ponte di Legno e la lunga discesa verso la pianura padana che raggiungo dopo 1.020 km totali e tre giorni di pura gioia.
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