Ci risiamo: prendi un progetto, inizia a studiarne i dettagli fin da Settembre 2019; pianifica, organizza, considera. Fatto? Ok, ora chiudo il faldone e rinvia, rinvia, rinvia. Virus, limitazioni, la vita che non è più normale, colori (ma di quelli non belli da apprezzare con i sensi), vincoli, rischi, mancanze, sofferenze. Il Covid e tutto il suo corollario di strascichi sposta tutto giocoforza ma le motivazioni e le ragioni iniziali restano invariate, fra sospiri ed attese. Serve altro ora, perché dopo i brutti momenti passati vogliamo saldare i debiti con la memoria, ripensando a tutti i “Eh, ma ad averlo saputo prima!”, “Guarda cosa c’era qui vicino”, “Peccato, non abbiamo fatto in tempo “, “Casomai un’altra volta!” sfiorati nel corso degli anni. Si, perché in realtà viaggiamo dal 2014 con un trittico immutato: “Andrea e Sonia in Royal Enfield“. Andrea, comandante autonominato, sopportato e supportato da Sonia, Prima Ufficiale, entrambi in sella alla Royal color d’Argento, una RE Classic 500 che da sempre ci spinge e ci sprona a riassaporare territori ed emozioni col suo inconfondibile lentocedere ed il suo thump thump borbottante. Sorridendo senza fretta percorriamo giringiro il Paese più bello del mondo, affrontando cime, cime e ancora cime reali e figurate, spronando e condividendo il Bello (che, si sa, se goduto da tutti diventa ancora più bello). l’Italia che è sempre stata palcoscenico dei nostri viaggi a lungo raggio, non come piano di riserva o vetrina di visibilità magari a pagamento, ma tant’è; Italia che riassaporeremo con lo sguardo creditore di ricordi ed emozioni. Se non ora quando, appunto. In sella!
Lasciamo il cuore della Vallesina carichi di entusiasmo (e non solo) diretti alla volta dell’Abruzzo, mettendo subito da parte l’ipotesi Adriatica; attraversiamo difatti l’Umbria vicina ed amica che per noi è carta conosciuta. Foligno, Spoleto, Terni; accarezziamo Greccio in direzione Rieti ed imbocchiamo per il lago del Salto. I primi veri scatti (non di velocità ma fotografici) sono proprio in vetta alla scenografica diga. Di qui percorriamo la sponda orientale (fondo poco curato e poche strutture ricettive) con direzione Abruzzo. Avezzano e poi le rinomate Gole del Sagittario. Qui un andirivieni eccessivo di camper ci fa godere poco delle gode ma ci ritagliamo del tempo per bearci lungo le sponde del lago di San Domenico. Scanno e Passo Godi prima di una chicca: visita ad un centro visita daini nel cuore del Parco Nazionale d’Abruzzo. Rifocillato anche Bambi, scivoliamo verso Villetta Barrea per chiudere ai piedi di Castel di Sangro. Ancora un lago, il quinto oggi, per rinfrancare cuori, animi e mezzo.
La sosta è ricaduta in prossimità del Parco (al cui interno vige ancora, abbiamo notato, una politica di accoglienza old style (più improntata a spingere verso soggiorni di durata medio/lunga a discapito di quelli più brevi ma più dinamici e forse attuali): di qui forcella puntata a sud. Rionero, Isernia ed il “castelliforme” Santuario di Castelpetroso o della Madonna dell’Addolorata (più da kolossal Disney che un centro di fede, esteticamente). Il Molise c’è, esiste, ed è di fortissimo impatto: ne prendiamo piena coscienza arrampicandoci per Campitello Matese. Natura selvaggia, paesaggi western e impronta imprenditorial turistica pari a zero o quasi; su un fondo stradale a volte drammatico aggiriamo La Gallinola per svalicare sulla Serra del Perrone. Guardiaregia e le vestigia archeologiche di Saepinum ci ricordano che siamo nel paese più bello del mondo (e forse sottovalutato). C’è già aria di Puglia: vorremmo mettere Lucera nel mirino ma il tempo tiranno ci spinge bypassandola; poco male, il castello di Bovino con la sua posizione sopraelevata sarà campo base adattissimo per la notte, con le sue atmosfere ed i suoi panorami d’altri tempi.
“A che pensi, alle vacche in Puglia?” era motteggiare che sentivamo una vita fa quando venivamo sorpresi sognanti ed assenti da una realtà che non ci si confaceva. Vacche, Puglia, Bovino, l’accoppiata è stata quasi fin troppo automatica. Con una cavalcatura più British del nostro senso dell’umorismo inizia la tappa di giornata: lasciamo il Tavoliere per sconfinare nella vicina Lucania. Il Vulture coi suoi laghi di Monticchio, prima della brigantesca Rionero, sono le prime “tacche” di giornata.
Melfi chiude questo primo specchio lucano: venendo noi da Jesi non potevamo assolutamente evitare una meta Federiciana come il Castello di Melfi, appunto (e le saporite Strazzate, ma questa è un’altra storia appetitosa…). Confondendoci con un corteo nuziale lasciamo Melfi per Lavello accarezzando le Murge ricche di sole; ancora un must Federiciano per due sudditi di Federico II qui in trasferta, Castel del Monte. Esoterismo, leggenda, storia, magia: tutto diluito in un eccesso, qui sì, turistico ma che non possiamo non omaggiare. Ondivaghiamo lento pede fra le Murge prima di lasciare andar via Alberobello: ancora turisti a frotte, ancora fondersi nella massa? No, perché un pugno di km ci separa da un vero trullo dove pernotteremo, sperduto nel tramonto più magico mai incontrato sinora. Vivere l’emozione e non visitarla.
Una bomba d’acqua notturna non scalfisce il nostro riposo fatato in un trullo che è magico in ogni pietra che lo compone: ma le favole terminano spesso con un risveglio, e c’è tanto tanto tanto e tanto ancora da assaporare. Mar Piccolo e Mar Grande: Taranto! Ma è la nostra porta d’uscita dalla Puglia, la Lucania ancestrale ci aspetta imminente. Lungo il litorale Ionio riscopriamo le Tavole Palatine e le memorie di Pitagora. Mare, mare ed ancora mare prima di infilarci verso l’interno selvaggio. Craco deserta, ma vivissima d’umanità; Craco che non ha retto la modernità, ma piace pensare che l’abbia rifiutata (semi cit.). Di qui l’itinerario prende una dimensione se possibile ancor più irreale: Alianello ed i Calanchi, un incedere solitario in un misto fra un deserto vero e proprio ed un set alla Sergio Leone. Con noi, solo il vento. Cristo si sarà fermato pure ad Eboli ma noi puntiamo Aliano Leviana, prima di toccare anche la Calabria (punto più a sud del viaggio) e riprendere verso il Potentino. Picerno, emozioni, Lagopesole e Venosa. “D’altra parte perché sacrificarsi per i posteri, che cosa hanno fatto questi posteri per noi? Allora dico insieme al poeta Orazio Quam minimum credula postero»; e la Venosa oraziana accoglierà stanotte la Strana Coppia sulla Strana Moto. L’Aglianico generoso corrobora sogni e riposi.
Venosa vicina alla già incontrata Melfi: tanto vicine ma tanto dissimili, seppur limitrofe. Punti di vista, guardi più o meno la stessa cosa ma in modalità differenti e noti sfumature, colorazioni, particolari differenti. Ed oggi ne avremo una riprova in più, rotta verso il Matese. Ancora? Si, ancora: attraversiamo l’Avellinese ferito dal sisma dell’80 prima di risalire ma stavolta dal versante Beneventano, più pittoresco e didascalico. Piedimonte, San Gregorio, Miralago. Lo spartiacque con Campitello è lì, a portata di mano, ma che ambiente dissimile a quanto visto solo un pugno di giorni fa. Laghi, ancora, lande, pianori. L’altopiano scorre via verso Venafro. Memorie della Seconda Guerra Mondiale a S. Pietro Infine. Rispetto. Ancora guerra stavolta a Cassino, non per l’abbazia ma per il monumento all’orso Wojtek, immagini del contingente polacco nella lotta per la liberazione d’Italia. Acquazzone improvviso, incontri e confidenze fra bikers sotto un ponte salvifico; si attende prima d’avvicinare la Ciociaria. Arpino: Cicerone, Gaio Mario, il Cavalier d’Arpino. Può andar bene per stanotte? Aggiudicato! Tramonti sempre più colorati, a domani…
Riprendiamo il viaggio ragionando su un dubbio espresso dai locali: le due statue dei cittadini più illustri sembrano avere fisici e sembianze invertite per i loro destini storico-professionali (un condottiero col faccione bonario, e un avvocato col vigore di un guerriero?). E se avessero davvero scambiato le due teste? Passiamo Casamari e Anagni schiaffeggiante prima di avvicinarci alla capitale. Aggiriamo tenendo a bada caos e traffico risalendo verso la Tuscia; fra Orvieto e Ficulle il luna park delle due ruote ci regala sorrisi seppur a velocità deficitarie. Una fontana regala refrigerio a noi ed ad altri motociclisti, tutti riarsi dal sole ma con sorrisi senza fine (e forse fretta). Fabro, Città della Pieve; evitare sterrati e vestigia etrusche richiede la stessa perizia. Giringiriamo nelle terre de Il Gladiatore prima di perderci a Pienza. Colori che sanno d’amore ci accolgono in questo salotto buono della Toscana.
Tutta a nord, è la costante della rotta di questi giorni. Il Chianti, con una puntata a Castellina (già ammirata in passato); i dintorni di Firenze. Dintorni, si, perché puntiamo a Ponte a Ema. “L’è tutto sbagliato, l’è tutto da rifare!”, quanto avevi ragione Ginettaccio; ragioniamo e sospiriamo sotto la casa Natale di Gino Bartali, Giusto fra le Nazioni e Campione triste ma grintoso. La direzione in odor di Toscana ma diretta verso l’Emilia vede qualcosa di mirabile: l’unico tratto autostradale dell’intero percorso. Ma volutamente: il vecchio tracciato Panoramico, deserto da quelli che hanno lasciato la strada vecchia per la nuova. A Roncobilaccio non ci venne incontro un vecchio ma i primi sentori Appenninico Emiliani. Bologna, gonfia di traffico e turisti è laggiù, vedete? E invece no, noi puntiamo a Castelvetro. Castelvetro di Modena, una “Marostica in piccolo” con la sua “scacchiera” in piazza. Vogliamo forse perderci un borgo del genere? Giammai (indipendentemente da eventi preorganizzati e simili)!
Forse una delle strade con l’animus migliore della penisola è la Statale dell’Abetone. Ci siamo ripromessi di percorrerla palmo a palmo prima o poi; stavolta l’agganciamo solamente, per resecare il piattone Padano. Veneto, Trentino. Ci scostiamo dalla Val d’Adige per l’Eremo di San Colombano (proteggici tu!) abbarbicato, forse nemmeno lui sa come, in quel di Trambileno. Rovereto, una strada balconata magnifica (da far impallidire le transalpine) ci porta ai passi del Sommo e di Vezzena. Laghi (ci eravate mancati!) di Caldonazzo e Levico; a quello di Caldonazzo non resistiamo, si accosta e ci si tuffa. Refrigerio. Con le vette intorno a far da corollario. Emozioni che ci erano mancate. Ma si procede in quota, verso Cavalese e Predazzo. Chissà come sarebbe soggiornare su un passo, anziché considerarlo un mero punto di passaggio? Presto detto, campo base il Passo Falcade!
Unica tappa circolare, con bagagli e pensieri ad attenderci in albergo mentre guadagnamo Cime, Cime e ancora Cime per tutta la giornata. Valles, Falcade, Rocca Pietore, “il pezzo duro della Marmolada” di Pantaniana (sempre Pirata sia lodato!) memoria prima della diga sul Fedaia. Canazei, Pordoi (dove “chiudi gli occhi e vedi il mare”), Campolongo. Viene il mal di mare a rimbalzare lungo la planimetria. Passo delle Erbe, Val di Funes. Qui c’è la prova provata che Dio o chi per lui, quando hanno creato tutto, erano indubbiamente di buon umore (e se avete visto “quella chiesetta lì” in Val di Funes sapete di cosa parliamo). Rientriamo? Rientriamo. Ma un lago di Carezza tanto per gradire prima di concludere la giornata, non ce lo facciamo? Siamo già lì…
L’aurora dalle dita di rosa accarezza il nuovo giorno. Da ora in poi, si scende. Anzi, no. Scherzetto! Passo Rolle e Pale di San Martino tanto per gradire e spingere la giornata sul verso giusto. La Strada dei 100 Giorni ed il San Boldo gustato più volte ci spingono verso la Valdobbiadene; qui abbiamo un appuntamento col Molinetto della Croda. Mentre viviamo questo angolo di paradiso ci ricordiamo che i deficienti condividono il nostro stesso mondo (il Molinetto era stato oggetto di recenti atti vandalici). Il cuore del Veneto ci accoglie quando tentiamo un colpo di teatro. Se non ora, quando? Arriviamo a Venezia (non Mestre, non Marghera. Venezia) proprio dove le ruote possono accarezzare le prime calli. Oltre, non si può: perfetto, garage, albergo, e per oggi il Leone di San Marco non avrà più segreti per noi. E pensare che meno di 24 ore fa sfioravamo i ghiacciai.
Non facciamo in tempo a metabolizzare che pochi giorni fa eravamo in un trullo, quando dobbiamo lasciarci le gondole alle spalle. Chioggia col suo centro storico ci strizza l’occhio ricordandoci emozioni in tutti i sensi vicini. Comacchio ed i Trepponti, prima delle Valli e del caratteristico traghetto old school di Sant’Alberto. C’è aria di Marche, c’è aria di casa. Finito? No, quasi: ogni pretesto è buono per procrastinare l’arrivo (e pollice su per la Senigallia – Sant’Angelo). Di nuovo Jesi, di nuovo a sognare le prossime avventure.
Km? Mah, più di 4000… ma che importa, se le emozioni son state tante e tante di più?
Dritte, consigli? Sognate, sognate e guidate. E sognate.
Perché davvero, se non ora… quando?
Andrea e Sonia in Royal Enfield vi vogliono bene! Lampeggio!
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