Quando l'imitazione non è adulazione: lo "strano caso" dei produttori cinesi che copiano le moto occidentali

Quando l’imitazione non è adulazione: lo “strano caso” dei produttori cinesi che copiano le moto occidentali

Stefano Maria Meconi  | 29 Ago 2023  | Tempo di lettura: 4 minuti

Aliexpress, Temu, Gearbest. Oramai nel linguaggio internettiamo abbiamo imparato a conoscere gli store cinesi dove viene venduto di tutto e di più, spesso a prezzi bassissimi. E non è un caso che questo fenomeno sia così intenso, perché tutti hanno voglia di spendere ma senza svuotare il portafoglio. Certo è che la qualità di ciò che arriva nelle nostre case non rispecchia affatto il concetto di craftmanship che ci si aspetta dai brand nostrani. Ma cosa chiedere di più da un sigilla sacchetti da 80 centesimi? Discorso diverso, però, se il prodotto che acquistiamo direttamente dalla Cina è una moto. Vi affidereste a un veicolo che supera facilmente i 160-200 km/h sapendo che è realizzato con la stessa attenzione del sigilla sacchetti? Eppure, c’è chi questo azzardo l’ha fatto.

Xiangshuai, il brand che fotocopia le due ruote

Guanzhou (Canton) è la principale città del Guangdong, una delle province cinesi dove si producono le moto “fotocopia”

Chissà quanti di voi ricordano la Shuanghuan CEO, SUV cinese prodotto a libera ispirazione della Land Cruiser e delle due BWM E53 e X3. Se in Germania ne hanno vietato la vendita per violazione della proprietà intellettuale, è però solo un breve stop. Sul lassismo di certi paesi, e l’Italia non fa purtroppo eccezione, c’è chi sta cercando di costruire le sue fortune imprenditoriali. È il caso della Xiangshuai, marca di proprietà dell’azienda Guangdong Hianya Motorcycle Technology. Come il nome lascia immaginare, è una società del Guangdong, la provincia cinese di Canton che confina direttamente con le ex-colonie di Honk Hong e Macao. Un enorme centro produttivo che produce il 12% del PIL cinese, anche attraverso le “copie d’autore” di automobili e motociclette dei principali produttori internazionali.

Se brand come Moto Morini sono ormai legittimamente di proprietà cinese (nel 2018 l’azienda è stata acquistata infatti dalla Zhongeng Vehicle Group), nel caso di Xhiangshuai la forma di imitazione non è una adulazione o un omaggio, ma un modo per ridurre i costi di progettazione e immettere sul mercato moto a costi contenuti. Spesso, con un risparmio nettissimo rispetto alle controparti europee o giapponesi: ma è tutto oro quello che luccica?

Una lunga lista di motocopie

Tra le moto più imitate c’è anche la “nostrana” Ducati Streetfighter

Abbiamo visto che la scelta del brand cinese è quella di immettere sul mercato nazionale moto dal buon profilo tecnico, ma con uno chassis che è chiaramente ispirato, ove addirittura non ricopiato in toto, da modelli già presenti sulla vendita internazionale. Di casi simili se ne possono citare peraltro molti:

  • La Cangyun XS 500 è una chiarissima imitazione della Honda CMX 500 Rebel, con un motore della stessa capacità (471cc) prodotto dalla società cinese Loncin. Il costo del modello cinese è di 4100 euro rispetto ai circa 6700 della Honda.
  • La Moxiao MX500-6D si ispira, ma la riuscita è chiaramente pezzotta, alla Ducati Streetfighter V4. Stesso motore della Cangyun, con un pesante downgrade prestazione che passa dai 1103cc del modello di Borgo Panigale ai 471cc della versione cinese.
  • La Lifan Hunter 125 tocca ancora una volta lo stile Ducati, “prendendosela” con la Scrambler Icon, trasformandola però in un modesto ottavo di litro che sembra quasi una versione per bambini dell’originale.

L’elenco è limitato per motivi di spazio, ma si potrebbe andare avanti pressoché all’infinito, citando la S450RR che copia la BWM S1000RR o la Xiangshuai Traveller XS800 che si rifà addirittura al mito Harley Davidson Electa Glide.

La tutela del diritto d’autore sul mercato cinese

Tutelare la proprietà intellettuale italiana e comunitaria in Cina è attualmente molto complesso, se non addirittura impossibile. La legge sul diritto d’autore della Repubblica popolare cinese, risalente al 1990 e rimaneggiata ampiamente fino al 2021, si concentra particolarmente sulla tutela del diritto per le proprietà intellettuali cinesi. Per quanto riguarda le proprietà intellettuali di soggetti stranieri, invece, è più complessa. La legge ammette un riconoscimento a livello nazionale solo se il soggetto che richiede il riconoscimento del copyright ha prodotto la sua opera in Cina, o se esistono accordi specifici tra paese di origine e destinazione.

Una cornice legale molto fumosa, che ha dato vita al cosiddetto trademark hijacking, ovvero all’appropriazione illecita di brand internazionali e delle loro produzioni, poiché molte aziende non hanno registrato, o pensano non sia utile farlo, la loro produzione presso il China Trademark Office. Solo in questo caso, infatto, verrebbero tutelate ai sensi della legge di cui sopra, ma i processi burocratici e amministrativi per arrivare all’effettivo riconoscimento sono lunghi e complessi. Basti pensare ad esempio ad Apple, che ha avuto bisogno di anni per essere legittimamente tutelata dalle varie copie di iPhone, iPad e via discorrendo. E non sempre con successo.

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Stefano Maria Meconi
Stefano Maria Meconi

Responsabile editoriale di TrueRiders sin dal 2015



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